Martina Cogliati

Coaching in azienda: sì o no?

Negli ultimi anni il coaching è entrato nel nostro vocabolario e anche nelle nostre vite. Si parla spesso della sua efficacia di processo e del tipo di relazione che si instaura tra coach e coachee. Ma il coaching può essere utile anche per migliorare i processi aziendali e l’ambiente di lavoro?

Lo abbiamo chiesto a Nicoletta Bressa,
Talent Acquisition & Employer Branding di Sisal.

Buongiorno Nicoletta, lei è Talent Acquisition & Employer Branding di Sisal. Esattamente che cosa significa esercitare questo ruolo all’interno di un’organizzazione?

Il mio ruolo si colloca nella Direzione HR. Sostanzialmente è composto da due anime: una che riguarda la talent acquisition e un’altra che riguarda l’employer branding.

Partiamo dalla prima. All’interno di questo perimetro, ho la responsabilità, insieme al mio team, di provvedere a gestire tutto il piano di hiring per l’azienda, che significa confronto con gli altri e i manager, al fine di individuare le figure necessarie all’implementazione dell’organico interno, o per la gestione del turnover. L’altra riguarda invece la costruzione di employer proposition per comunicare Sisal all’esterno, come potenziale luogo di lavoro per nuovi talenti, o per chi vuole raccogliere ulteriori informazioni sull'azienda. Insomma un ruolo che ha sia un’anima esecutiva, sia un’anima promozionale.

Si dice che oggi il grande problema delle aziende e di conseguenza di chi si occupa delle sue persone, sia quello della talent acquisition e della talent retention. Perché? Cosa cercano oggi le persone in un lavoro? 

Questo è un tema caldo, su cui noi HR non abbiamo ancora una risposta definitiva.

Si tratta di temi che sono sempre stati sul nostro tavolo di lavoro, ma che hanno avuto un’impennata imprevista nel periodo pandemico. Posso dirti che sicuramente è cambiato l’approccio delle persone al lavoro e al contesto lavorativo, ma non solo. Noi siamo un’azienda strutturata; in Italia siamo 2000 persone e all’interno dello stesso perimetro convivono 4 generazioni. Perciò oltre a cambiare l’approccio al lavoro e al luogo di lavoro, da parte soprattutto delle nuove generazioni, c’è anche la complessità di inserirlo nello stesso contesto in cui esistono culture del lavoro diverse rispetto alla loro.
Quello che noi stiamo facendo è ascoltarci. Usiamo delle survey per capire cosa i giovani si aspettano dal posto di lavoro, sia per sceglierlo che per rimanerci. I risultati ci stanno dicendo che i giovani vogliono vivere un ambiente lavorativo dove potersi formare, crescere e dove poter trovare un equilibrio tra la dimensione professionale e quella privata, che non è solo agile work, ma anche garanzia di avere un benessere psico fisico. Dobbiamo dunque fare i conti su come inserire i giovani con questo approccio tra persone più mature con un approccio più orientato al risultato.
Il giusto mix è dare risposta a queste generazioni, ma al contempo riuscire a integrarle con persone che sono già in azienda. Non credo ci sia un approccio giusto, d'altro canto siamo tutti figli di tempi storici diversi. La sfida per noi è poter essere attrattivi per nuovi talenti, ma dall’altra poter comunque trattenere le persone che già lavorano in azienda.

Lei crede che anche in virtù di questo, gli HR o figure apicali come la sua (manager, team leader), possano trarre beneficio dall’acquisizione di tecniche di coaching?

Bella domanda. Spesso pensiamo che il coaching sia un modo per risolvere un’esigenza, un problema imminente e specifico, prevalentemente personale.

Credo invece che il coaching sia molto utile in azienda come approccio, metodologia di conoscenza delle nostre persone e un aiuto per selezionare i nuovi talenti. 
Alcuni manager, per esempio, si concentrano, durante la selezione, sugli aspetti tecnici, mentre a mio parere dovrebbero imparare anche a esercitare l’ascolto attivo, la capacità di fare domande aperte e profonde, per capire le aspettative e individuare le sfumature personali e culturali dei candidati e come questi possano integrarsi all’interno del contesto aziendale.
Credo quindi che il coaching possa essere un ottimo supporto al processo di cambiamento della cultura aziendale e quindi aiutare le persone a essere più flessibili in ottica di attraction e retention.

Ha mai fatto un’esperienza di affrancamento a un coach aziendale o conosce alcune tecniche di coaching che applica nella sua vita personale e professionale?

Io sono stata molto fortunata, perché nel mio passato ho avuto la possibilità di lavorare con un coach aziendale con cui fare un percorso di crescita.
Quest’anno io sarò coach di una persona, sono contenta di fare questa attività nell’altro senso. Ci tengo a specificare che c’è una notevole differenza tra essere un coach certificato ed essere un professionista che mette in pratica tecniche di coaching a supporto del proprio lavoro e delle proprie risorse. In ogni caso il coaching è molto utile per aiutare le persone a sviluppare comportamenti utili per la loro vita personale e professionale.

Ritiene che le persone per sentirsi più in equilibrio dentro e fuori dall’ambiente lavorativo possano trarre benefici con la conoscenza di alcune nozioni di coaching? Perché?

Sì, noi come azienda crediamo nel coaching e ci credo io come persona e professionista che ne ha fatto esperienza. È utile perchè non tutti sappiamo nel momento giusto, specialmente sotto stress, fermarci e prenderci del tempo per raccogliere le informazioni, agire in modo mirato e analizzare qual è un comportamento che ci interessa mantenere e quale invece è un comportamento che ci interessa migliorare. Nella quotidianità siamo portati ad agire in modo quasi automatico che non sempre però è la scelta corretta, rispetto alla situazione in cui ci si trova.

È difficile mettersi in gioco, ma molto soddisfacente, perché significa agire su se stessi e poi portare il cambiamento sui nostri comportamenti.
Ribadisco: il coaching è spesso visto come un lavoro su se stessi, individuale e privato; certo è anche così, ma è impossibile non pensare che le trasformazioni del coaching a livello personale, non abbiano un impatto sui propri comportamenti e perimetri di azione professionale. Per questo promuovo la cultura del coaching proprio all’interno dell’azienda: per lavorare sulla persona, ma partendo dal contesto in cui si inserisce la sua attività.

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