Martina Cogliati

Learning Cities: le città che apprendono

Learning cities: iniziare a fare la differenza in positivo. È a questo che le città mondiali devono puntare per il futuro dell’uomo e dell’intero pianeta.
Si stima infatti che nel 2050 il 68% della popolazione vivrà nelle città che, pur occupando solo il 2% della superficie terrestre, arriveranno a consumare oltre il 60% delle risorse energetiche e a emettere sostanze inquinanti per un 70% globale.
Vogliamo davvero che le nostre realtà urbane vengano identificate come colossi che devastano il pianeta e il futuro di tutti noi? La risposta è ovviamente no, ma non basta dirlo; occorre fare qualcosa di concreto.

Network globale di learning cities

L’Unesco ha lanciato diverse iniziative per trasformare le città in nodi nevralgici in tema di sostenibilità non solo ambientale, ma anche culturale. Una di queste è il Global Network of Learning Cities, nata nel 2015 con l’obiettivo di promuovere una nuova concezione dell’apprendimento. A oggi le città che apprendono sono 229 di 64 paesi diversi; tra le italiane ci sono Fermo, Lucca, Palermo, Trieste e Torino.
Le linee guida per concorrere come learning cities sono chiare e i criteri devono essere ottemperati in modo costante per mantenerne il titolo.
Le principali sono:
  • Promuovere l’apprendimento dalla scuola di base agli studi universitari.
  • Rivitalizzare l’apprendimento nelle famiglie e nelle comunità.
  • Facilitare l’apprendimento continuo nei luoghi di lavoro.
  • Estendere l’uso delle moderne tecnologie.
  • Migliorare la qualità dell’apprendimento
  • Coltivare la cultura dell’apprendimento per tutta la vita.
I verbi con cui iniziano le linee guida dell’Unesco sono davvero esplicativi dell’intento di ambire a una nuova società globale.

Interessante anche notare come l’apprendimento non debba essere qualcosa di elitario, ma di democratico, accessibile, una volta che va al di là della scuola dell’obbligo; senza rinunciare alla qualità e soprattutto all’innovazione che comprende anche tutti i vantaggi dell’uso della tecnologia.

Il Lifelong Learning per affrontare il cambiamento

Un altro concetto che traspare per tutto il testo dell’iniziativa è quello dell’apprendimento permanente o lifelong learning. Gli adulti non dovrebbero mai smettere di imparare; è un loro diritto, ma anche un dovere verso sé stessi e la realtà in cui operano.
Si stima che “imparare per tutta la vita” sia il migliore antidoto allo smarrimento e al panico prodotti da cambiamenti repentini dell’ambiente sociale e culturale di appartenenza. Non si può respingere il cambiamento, ma si può decidere come affrontarlo.
Essere preparati a livello di conoscenze e competenze fa davvero la differenza, perché aumenta la nostra rapidità e qualità di risposta alle modifiche dell'ambiente in cui viviamo.
Il lifelong learning non è un concetto del tutto nuovo, ma potrebbe essere visto in un’ottica rinnovata se inserito all’interno di un ecosistema. Quello che si impegnano infatti a fare le learning cities è ciò in cui si dovrebbero impegnare tutti i singoli microcosmi, ossia le aziende e le persone.

Città, aziende, persone: un ecosistema integrato verso l’apprendimento continuo

Ogni azienda dovrebbe occuparsi di garantire uno skilling continuo dei suoi dipendenti, dalle figure di leadership a quelle più esecutive, perché se le persone stanno al passo con i tempi, anche l’azienda riesce a innovare e rinnovare il suo business a un ritmo costante. L’azienda quindi diventa un facilitatore di cultura e progresso.
Anche le persone però hanno il compito di attivarsi, di non subire passivamente le scelte dell’azienda. Formarsi è un atto di cura e fiducia verso di sé, per garantirsi una posizione migliore all’interno della stessa azienda, oppure per fare il passo verso un’altra realtà, più consona alle proprie aspirazioni.
Città, aziende, persone. L’apprendimento permanente deve caratterizzare ogni strato della nostra società per renderla sostenibile, coesa e nuova.

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