Martina Cogliati e Roberta Marzuillo

L’evoluzione di una specie: il percorso di una Graphic Designer, dalla scuola all’azienda

Alcuni lo diventano, altri ci nascono ma non lo sanno ancora. La nostra collega Roberta Marzuillo ci parla di come è diventata Graphic Designer, della sua passione, del suo percorso di studi e dell’impatto con il mondo del lavoro.
Una vita professionale votata alle skill tecniche o c’è anche della competenza trasversale?

Ciao Roberta, grazie per aver accettato la sfida, quella di raccontare la tua esperienza e di far conoscere meglio la tua professione di Graphic Designer.

Partiamo con una domanda facile: quali competenze tecniche utilizzi ogni giorno nel tuo lavoro e come le hai acquisite?

Ciao Martina, grazie a te! Mi sento come un ospite di “Pomeriggio 5" e tu ovviamente sei la mitica Barbara D'Urso.
Ma torniamo seri. Ogni giorno per il mio lavoro utilizzo la Creative Suite Adobe, un pacchetto composto da circa una ventina di programmi. Io lavoro principalmente con 6, tra cui i più famosi: Photoshop, per il foto-ritocco, Indesign per impaginare e Illustrator per creare grafiche vettoriali, come per esempio i loghi.
Saper usare questi programmi è indispensabile per essere operativi, ma non potrei usarli con criterio ed efficacia se non avessi altre basi conoscitive, più umanistiche, quelle che nutrono il terreno della conoscenza tecnica. È come se mi definissi uno chef solo perché so usare bene la planetaria o un frullatore multifunzione, che invece sono strumenti accessori, utili solo per velocizzare alcuni processi di preparazione. 
La stessa cosa vale per un graphic designer: serve a ben poco sapere usare i programmi se poi non si hanno le basi di conoscenza della comunicazione visiva, delle leggi della percezione, della teoria del colore, delle principali tecniche di stampa etc etc.. potrei andare avanti all’infinito. 
Inoltre oggi ci sono tantissimi programmi che permettono a tutti molto facilmente di fare grafica, ne è un esempio Canva o quei siti che grazie all’intelligenza artificiale creano un logo sulla base di preferenze che si inseriscono nel sistema. Allora viene automatico chiedersi: se tutti posso “fare grafica”, cosa fa davvero la differenza

Hai sempre pensato di fare la Graphic Designer? Questa professione ha a che fare con le tue passioni o è semplicemente un lavoro?

No, anzi all’inizio ero molto confusa! L’ultimo anno di liceo artistico non sapevo neanche cosa volesse dire “Fare grafica”.
Ma sin da piccola, c’erano degli elementi e delle mie tendenze che mi hanno sempre guidata verso questo mondo. Sentivo infatti di potermi esprimere al meglio tramite il disegno. Disegnavo, disegnavo e disegnavo, non facevo altro. Ecco, l’unica cosa che sapevo è che volevo continuare a disegnare.
Aggiungo una precisazione, per farti capire meglio. Al secondo anno di liceo ti fanno scegliere la strada da percorrere: beni culturali, pittura, scultura, architettura o grafica? PANICO! Un po' a caso, un po' perché sapevo che per entrare in grafica serviva una media alta, scelgo Pittura.
E poi? Avrei fatto l'università, ma cosa? Di nuovo il problema della scelta giusta.
Solo con la tesina arrivo a unire i puntini. La intitolo “Come l’abito fa il monaco”, ispirandomi alla mia passione per i vestiti, la moda, la cura della persona in generale (il mio ascendente Toro si vede, forte e chiaro). Decido di impaginarla come se fosse una rivista, mi viene tutto così naturale grazie anche all’aiuto di un’ amica che studia grafica e mi da qualche dritta. 
Finalmente avevo capito l’indirizzo da prendere, non avevo più dubbi. Ho avuto un’epifania, un amore a prima vista con il mondo del graphic design.
Fare la Graphic Designer è un lavoro che sembra non c'entrare molto con le mie passioni, ma per me hanno un forte legame. Chi mi conosce sa che per me i vestiti, i trucchi e le borse sono un mezzo per presentarsi al mondo, per esprimersi e per mostrare la propria personalità. In fin dei conti, un logo non fa la stessa cosa? La grafica è la veste visiva che si dà a un messaggio per comunicarlo al meglio.

Oggi si parla sempre più di skill mismatch, ovvero di uno scarto tra la domanda e offerta di competenze richieste dal mercato. 

A questo proposito, che cosa un graphic designer non impara all’università che invece sarebbe utile imparare per affrontare il mondo del lavoro?

Credo che non si è mai davvero preparati al mondo del lavoro, soprattutto se si lavora in team. Anche quando si hanno già un po’ di esperienze lavorative alle spalle, non si è mai del tutto pronti di fronte alla sfida lanciata da una nuova avventura. Cambia tutto: il modo di lavorare, le competenze che servono, le relazioni.
Per me inizialmente la difficoltà maggiore è stata relazionarmi con i clienti, anche scrivere una semplice mail o fare telefonate; queste attività mi mandavano in panico, erano cose che non avevo mai fatto. 
Ho avuto invece meno difficoltà nel lavorare in team. L’università mi ha preparato a confrontarmi con altre persone che però avevano le mie stesse competenze, quindi parlavano la mia lingua, in un certo senso. Più complesso, ma altrettanto stimolante è invece lavorare con un team eterogeneo, in cui tutti abbiamo competenze verticali diverse, ma interdipendenti. Ancor più che nel primo caso, in questo, è necessario sviluppare doti di ascolto, empatia, chiarezza comunicativa e proattività verso il raggiungimento di un obiettivo comune dichiarato.
Per noi grafici collaborare costantemente è una vera e propria uscita dalla zona di comfort. Noi viviamo in simbiosi con il nostro Macbook, in un mondo fatto di file vettoriali, font e foto di stock, per cui abbiamo bisogno di imparare a relazionarci con quello che circonda la nostra scrivania, ovvero i nostri fantastici colleghi, da cui abbiamo tanto da imparare e ai quali noi abbiamo altrettanto da insegnare.
Sembra stupido, ma per collaborare tutti assieme, anche ai tuoi colleghi può essere utile sapere cosa è un file vettoriale (capito Martina?).

Tornando alle competenze tecniche, recenti studi hanno dimostrato che quanto appreso durante gli studi universitari ha un ciclo vita sempre più breve, della sola durata addirittura di un paio di anni.

È vero nel tuo caso? Come riesci ad affrontare questa criticità?

L’università mi ha dato delle competenze molto tecniche, soprattutto a livello di programmi che poi sono quelle che uso abitualmente. Partendo dal presupposto che non si smette mai di imparare, una volta che si conoscono le basi della grafica, è comunque utile, quando non si sa fare qualcosa o escono aggiornamenti, guardare dei tutorial e informarsi sulle nuove funzionalità dei programmi usati.
Per quanto riguarda conoscenze corollarie all’attività grafica, come per esempio le strategie di comunicazione social, durano anche meno di due mesi; chi si occupa di questo campo deve infatti aggiornarsi continuamente.
Cerco di affrontare le criticità provando a modellare comportamenti virtuosi dai miei colleghi, osservare come loro si muovono tra le ansie e le scadenze di ogni giorno e rimanendo focalizzata sugli obiettivi da portare a termine ogni giorno.
Mettersi in gioco è fondamentale per acquisire nuove softskill e potenziare quelle che sentiamo già appartenerci. A me permettono di vivere serenamente le relazioni lavorative e le sfide quotidiane. Per me serenità significa sapere che ho un team di lavoro su cui poter contare con cui vado d’accordo, con cui si parla di lavoro ma anche di vita privata, per lavorare con meno ansia sulle scadenze e su compiti complessi.

Credo che lavorare nella realtà di SkillDoers ® ti stia aiutando a prendere consapevolezza delle skill che utilizzi per collaborare con gli altri, al di là di quello che ti compete nello specifico. 

Quali sono le softskill che hai maturato nel tempo e quali metti in atto nella realtà lavorativa attuale?

Sì, lavorare nel team di SkillDoers ® mi ha aperto gli occhi sulle skill personali che a volte diamo troppo per scontate.
La prima tra tutte l’abilità di adattarsi al cambiamento, la flessibilità. Per me il progetto SkillDoers ® è del tutto diverso da quanto affrontato finora.
Altre softskill sono:
  • Lavoro in team, creando buoni rapporti interpersonali.
  • Gestione efficace del tempo, per portare a termine i compiti individuali, ma anche progetti da svolgere in team. 
  • Capacità di problem solving. È ’importante trovare la via di uscita alle problematiche quotidiane da soli e anche con l’aiuto dei membri del team.
  • Capacità di ottimizzare le risorse. Cercare di utilizzare una grafica/ una comunicazione nel pieno delle sue possibilità, non sprecare nulla! Del maiale non si butta niente!

Che consiglio daresti a tutti i ragazzi che vogliono fare il tuo lavoro?

A tutti i ragazzi che fanno i graphic designer, o che vogliono diventarlo, consiglio di godersi gli anni dell’università, di imparare al meglio le competenze tecniche, di sperimentare e di divertirsi
Se l’impegno dell’università lo permette, consiglio anche di fare delle esperienze lavorative, anche semplici: dal rifare il logo dell’estetista sotto casa, allo stage in un’azienda, a qualsiasi esperienza che faccia sviluppare delle skill utili per il mondo post studi.
Perché quando si esce dell’università si diventa grandi, si affronta lo spietato mondo del lavoro, dove saper fare le cose fighe con Photoshop è utile, ma saper adoperare tutte le skill che ho elencato prima, darà una marcia in più e renderà il lavoro divertente e stimolante.

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