Avvolto solo da due bandiere: quella italiana e quella tunisina. È così che posa Ghali per la foto del suo profilo Instagram con cui annuncia l’uscita del nuovo album.
Niente più rasta per il cantante trap, nato a Baggio (un quartiere di Milano) da genitori tunisini, come a simboleggiare un ritorno alle origini.
La nuova fatica discografica non ha ancora un titolo, ma il singolo che l’anticipa Walo racchiude tutti i temi su cui punta un Ghali più adulto e sicuro della sua identità integrata. Non è un caso infatti che l’annuncio sia stato fatto proprio in occasione del primo giorno di Ramadan.

È un punto di ferma consapevolezza quello raggiunto da Ghali. Indipendentemente che la sua musica piaccia o meno, è attraverso di essa che ha deciso di esprimersi e soprattutto ha deciso di farlo in un modo che può essere da esempio per tutti noi. Andando quindi oltre i gusti musicali e anche il personaggio, il messaggio che lancia è chiaro: accettati nella tua unicità. Che è anche unicità culturale. Il ritornello che ho riportato poco sopra, è un bel mix di elementi culturali che, seppur stereotipati, ci fanno capire come la nostra cultura permea profondamente tutta la nostra persona e a volte anche in modi inconsapevoli. Le parole che scegliamo, il modo in cui mangiamo, il modo in cui ci vestiamo e soprattutto comunichiamo sono aspetti profondi e spesso inconsci della nostra identità culturale. Rispettarli prendendone consapevolezza è il primo passo per accettarsi e accettare con rispetto l’altro con cui interagiamo.

Se parliamo di comunicazione, parliamo ovviamente di social media. È chiaro che su Instagram l’immagine ha un valore assoluto, mentre il contenuto ha un ruolo marginale. Ma non sono qui per fare la solita polemica legata all’apparire. A mio parere bisogna cercare di prendere il buono che i social ci offrono, ossia la possibilità di veicolare un messaggio importante raggiungendo più persone possibili. E allora, se Ghali si lascia avvolgere da due bandiere simbolo della sua identità, ben venga. Anzi dirò di più. Questa foto per me è andare oltre la solita narrazione univoca che si fa di sé: noi siamo il frutto di tutte le culture interiorizzate e di tutte le esperienze fatte, soprattutto nel confronto con chi ha qualcosa di diverso da noi, da portare nella nostra vita.

Un po’ fantasticando, mi sono immaginata un Ghali come collega d’ufficio. Come sarebbe confrontarsi con una persona che ha una cultura diversa dalla mia, o più evidentemente mixata rispetto alla mia? In un modo globale dove il venerdì sera è consacrato al sushi, tutti noi siamo già il risultato di continue contaminazioni culturali. La vera diversità si avverte però quando la relazione si fa stretta, quando l’incontro e il confronto diventano costanti. Essere consapevoli che le differenze ci sono e che alcune di queste incomprensioni nascono proprio dalle differenze è il primo passo per collaborare. Meno frustrazione, più cooperazione, più progetti di valore e un benessere e una ricchezza che non hanno pari.
Lo so, ho fantasticato un po’, ma i confini dei buoni esempi dovrebbero essere estesi a qualsiasi generazione e ambiente in cui viviamo.
E comunque, io una riunione con Ghali la farei.